Kintsukuroi o Kintsugi è l’antica arte giapponese di riparare con oro o argento liquido gli oggetti in ceramica. Letteralmente kintsukuroi vuol dire, appunto, “riparare con l’oro”. Ma come sempre nel paese del Sol Levante ciò che appare all’inizio è solo la punta dell’iceberg, che lentamente affonda le sue radici nelle profondità dell’animo umano.
L’arte del kintsukuroi, infatti, non si limita ad una pratica artigianale, per quanto intrinseca essa sia nella cultura orientale, ma diviene una delle tante metafore della vita.
Riparare gli oggetti e curare l’anima
In occidente siamo decisamente più pessimisti e siamo soliti diffidare dal prossimo e stare alla larga dalle avversità. Siamo soliti pensare, infatti, che quando qualcosa si rompe non potrà mai tornare a essere quello di una volta.
Il concetto è valido tanto per un oggetto, quale può essere un vaso in ceramica riparato con la migliore delle colle, che comunque lascerà emergere le proprie crepe, quanto per le ferite più profonde della nostra anima, segni indelebili che ci porteremo nascosti per tutta la vita.
Tuttavia in oriente si è soliti essere un po’ più ottimisti e lasciare che ogni problema, ogni imperfezione, si trasformi in un modo per migliorarsi, tanto esteticamente quanto psicologicamente. “Impariamo a curare le nostre ferite per farne la nostra bellezza”.
La pratica artigianale del kintsukuroi nasce dall’idea che “dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancor maggiore di perfezione estetica e interiore”. Proprio questi ideali hanno fatto del kintsukuroi la metafora e il simbolo della resilienza.
La filosofia del Kintsukuroi
La nascita del kintsukuroi risale addirittura al quindicesimo secolo. All’epoca ad andare in frantumi fu la tazza da tè di Ashikaga Yoshimasa, ottavo shogun degli Ashikaga. Gli artigiani la ripararono con resina laccata e polvere d’oro, restituendo allo shogun un oggetto unico e di valore. In realtà nessuno sa se questa sia una storia vera o solamente una leggenda. Fatto sta che l’arte dello kintsukuroi si tramanda da secoli.
In molti la definiscono anche “l’arte di abbracciare il danno”. Restituire nuova vita agli oggetti finiti in frantumi, ottenendo qualcosa di unico e prezioso. Le filature dorate che corrono lungo la ceramica trasformano l’oggetto facendolo brillare di nuova vita. A nessuno verrebbe in mente che è un oggetto brutto e da buttare, è semplicemente qualcosa di unico nel suo genere. Ogni rottura, ogni ferita, crea venature diverse e irripetibili.
“Le anime più forti sono quelle temprate dalla sofferenza. I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici”.
Kintsukuroi di Navarro Tomàs
Non bastano le parole per descrivere il significato più profondo del kintsukuroi, ma se qualcuno ha provato nell’impresa quello è stato Navarro Tomàs, nel suo libro “Kintsukuroi: l’arte giapponese di curare le ferite dell’anima”.
Quella di Tomàs è una guida su come applicare la filosofia del kintsukuroi alle nostre vite. Imparare a riparare le ferite della nostra anima con sottili fili dorati e tornare a brillare come prima, più di prima. La sofferenza, il dolore, le cicatrici che dolorosamente portiamo con noi, non ci rendono più deboli, tutt’altro, ci rendono più belli, forti, coraggiosi e interessanti. Impariamo a riparare la nostra anima così come ripareremmo un vaso di ceramica. “Siamo ciò che siamo perché siamo stati ciò che siamo stati”.
“Non c’è niente di più bello di una persona che rinasce. Quando si rialza dopo una caduta, dopo una tempesta e ritorna più forte e bella di prima. Con qualche cicatrice nel cuore sotto la pelle, ma con la voglia di stravolgere il mondo anche solo con un sorriso” – Anna Magnani.