Chi è alla continua ricerca della perfezione è destinato ad una vita inesorabilmente infelice. Accettare l’imperfezione delle cose è alla base di una visione del mondo che prende il nome di Wabi-Sabi. Scopriamolo insieme.
Wabi-Sabi: etimologia della parola
Se dovessimo dividere la frase Wabi-Sabi e tradurla letteralmente ne uscirebbe qualcosa del tipo: dipendenza, solitudine e distacco.
Tuttavia, questa non è una traduzione corretta, seppur letterale, perciò viene comunemente tradotto questo concetto con: impermanenza, sofferenza, vuoto.
Le due parole, Wabi e Sabi, sono nate come definizione di due cose completamente diverse, ma che con il tempo hanno trovato modo di convivere, formando un concetto tanto radicato nella cultura orientale.
Wabi è traducibile con solitudine, ma in un’accezione positiva, non negativa. Potremmo definirla come una piacevole sensazione nel ritrovarsi soli nella natura, nella calma, lontani dal caos della civiltà.
Sabi, invece, può essere tradotto con: apprezzare il vecchio. La bellezza delle cose che con il passare degli anni assumono ancor più fascino, nonostante la patina, l’usura, le riparazioni.
Cosa vuol dire?
Tuttavia, non è così semplice tradurre un concetto che è complicato da spiegare per gli stessi giapponesi. Nemmeno un giapponese, infatti, è in grado di dare una definizione chiara e semplice alla frase.
Sarà perché si tratta di un concetto così radicato nella cultura del Sol Levante che non ha bisogno di spiegazioni per chi la vive tutti i giorni.
La definizione più consona che potremmo trovare su questo concetto potrebbe essere: “niente è eterno, tutte le cose sono imperfette e tutte le cose sono incomplete”. Accettando questa verità smetteremo di rincorrere la perfezione e potremmo finalmente essere felici della nostra vita perfettamente imperfetta.
L’estetica del Wabi-Sabi
Il Wabi-Sabi è un concetto di imperfezione utilizzato soprattutto per l’estetica. L’estetica tradizionale giapponese, infatti, è tipicamente irregolare, imprecisa, imperfetta.
Un concetto estetico estremamente lontano dalla classica “bellezza” occidentale. Soprattutto quando si parla di estetica si è alla continua ricerca della perfezione. Ma che cos’è la perfezione? È mai davvero raggiungibile?
Alle basi del Wabi-Sabi c’è proprio un profondo concetto di accettazione. Può sembrare duro e fin troppo realistico, ma esso celebra “il piacere della semplicità, l’intimità, l’asimmetria, la ruvidezza, l’economia, la conservazione, la modestia e l’apprezzamento sia degli oggetti naturali sia delle forze della natura”.
Le sue origini
L’origine del concetto del Wabi-Sabi è molto interessante. Esso, infatti, è nato come definizione dell’ambiente perfetto per la cerimonia del tè. La cerimonia del tè, infatti, non deve essere perfetta, tutt’altro, deve essere semplice e vera, imperfetta, come la vita.
“Ci si dovrebbe rendere conto che la Via del Tè è solo bollire l’acqua, preparare il tè e berlo” – Sen no Rikyu.
I principi del Wabi-Sabi
Per capire meglio che cosa si cela dietro al concetto del Wabi-Sabi esaminiamo i sette principi che lo regolano:
- Kanso, ovvero semplicità.
- Fukinsei: asimmetria o irregolarità. Questo è uno dei concetti base dell’estetica Zen, a cui il Wabi-Sabi fa molto riferimento. L’irregolarità e l’asimmetria, infatti, sono fondamentali per controllare l’equilibrio di una composizione Zen.
- Shibumi: è la bellezza semplice, quella non vistosa e appariscente.
- Shizen: naturalezza. Un altro concetto forse complesso da spiegare con una semplice traduzione. La difficoltà sta nel fatto che gli orientale non vedono la natura come qualcosa senza contaminazione umana (come gli occidentali). Al contrario, la natura è indissolubilmente intrecciata agli esseri umani.
- Yugen: grazia sottile. La bellezza delle cose che non si vedono.
- Datsuzoku: libertà, fuga dall’ordinario, la scoperta e la sorpresa dell’ignoto.
- Seijaku: tranquillità e solitudine. Chiudiamo con quello che avevamo detto all’inizio. Dopo aver appreso la bellezza semplice del Wabi-Sabi capiamo che, in questo caso, la solitudine non è dolore, ma pace.